Ali Banisadr “Beautiful Lies” Museo Stefano Bardini e Museo di Palazzo Vecchio / Firenze
di Davide Daninos
Monocromie e tinte contrastanti, citazione e invenzione, complessità e immediatezza, ordine e caos. Queste sono alcune fra le lotte interne alla pittura di Ali Banisadr (Teheran, 1976) che, invitato a dialogare con l’eredità dantesca a settecento anni dalla scomparsa del poeta fiorentino, porta la sua maniera intuiva ed evocativa a contatto con due raccolte fondamentali per la storia dell’arte italiana ed europea.
La collezione di sculture del Museo Bardini, punto di partenza di questa mostra diffusa, ricrea nel suo allestimento la visione originale dell’antiquario Stefano Bardini, il quale privilegiava, a cronologie e storiografie, soluzioni espositive capaci di glorificare sia la materia e il colore della pietra, sia la varietà di stili e tecniche con cui gli scultori classici e rinascimentali riuscivano a modellarla.
Così le famose tinte cerulee delle pareti del museo, scelte da Bardini per esaltare il biancore della statuaria, ora si estendono e si rimescolano anche all’interno del piano pittorico, sopra lo sfondo pallido dei dipinti di Banisadr (Rhizome e Ordered Disorder, entrambi 2019). Anche per l’artista iraniano, colore e materia sono centrali nei suoi combattimenti cromatici, realizzati modellando i toni scuri e azzurrognoli dell’olio per stratificazione ed eliminazione, tramite spatolate, raschiature e pennellate più controllate. Sulla superficie delicata del lino, figure instabili e informi emergono così dal desiderio di figurazione della materia pittorica e nell’inconscio della nostra visione, sempre interessato a ritrovare se stesso in ciò che osserva.
A fianco di questi primi esperimenti dalle cromie limitate, la mostra si sviluppa attraverso numerose scene definite da colori accesi e contrastati che, con la stessa immediatezza sintetica, riescono a rievocare immagini e ricordi dalla storia dell’arte: déjà-vu sfuggevoli, ambigui e mutevoli, nati dalla mancanza di un disegno stabilizzante, e perciò aperti alla nostra interpretazione.
Possiamo trovare così nelle grandi vedute a volo d’uccello di The Charlatans e The Gatekeepers (entrambi 2009), figure e composizioni vicine al caos controllato dei giardini delle delizie e degli inferni di Hieronymus Bosch e dei suoi conterranei. Le tele dell’artista iraniano ospitano infatti intere popolazioni di figure, scene e paesaggi nascosti nel colore, respingendo, come i loro antenati, una gerarchia di visione e una lettura immediata. La tecnica di Banisadr, divisa fra una pittura istintiva e un’attenzione quasi miniaturistica per i dettagli, collega così le composizioni infernali olandesi alla ricchezza materica di una pittura all-over e polifonica, riprendendo la definizione di Clement Greenberg data alle ricerche del dopoguerra americano di Mark Tobey e Jackson Pollock1.
Quando la dimensione dei formati e dei segni invece aumenta, possiamo ritrovare nelle sue lotte a pigmenti il ricordo di battaglie equestri, dove nuove figure fuori fuoco si trovano a cavalcare sfuggenti masse di materia pittorica turbinante (The Builder, 2019).
Inferni e combattimenti a cavallo ritornano anche nella seconda parte della mostra nel Museo di Palazzo Vecchio, che accoglie i suoi visitatori con le imponenti battaglie affrescate da Vasari sulle pareti del Salone dei Cinquecento. Con ancora negli occhi l’impressione delle loro armature pastello, ritroviamo nella Sala dei Gigli una nuova serie di processioni dipinte da Banisadr con tonalità sia acide che tenui, accese e opache, che al contempo richiamano e si scontrano con la collezione rinascimentale del museo ospitante, sottolineando nuovamente la pluralità di maniere e virtuosismi formali presenti nei quadri dell’artista iraniano (The Rise of the Blond, 2016; Underworld, 2021).
Con Beautiful Lies (2021) e Canto 28 (2011)2, incontriamo infine il tema centrale della menzogna, qui riletto come la capacità dei segni di contenere molteplici significati dietro le loro apparenze. I motivi nascosti e allegorici nella poesia di Dante vengono così associati alla capacità di Banisadr di far convivere nelle sue composizioni la figurazione dentro nell’astrazione, i gironi infernali nelle battaglie di colore, e la storia dell’arte all’interno della sua pittura istintiva e materica.
1 Clement Greenberg, La crisi della pittura di cavalletto (1948) in Arte e cultura. Saggi critici. Allemandi, Torino 1991.
2 Dedicato al girone dei fraudolenti nella narrazione dantesca dell’Inferno.