‘The most enduring and provocative couple in the art world’ Gilbert & George open their first art centre ‘for everyone’
Gilbert & George Aprono il loro primo centro d'arte "per tutti"
La coppia più longeva e provocatoria del firmamento artistico apre uno spazio espositivo nell'East End, a Londra, da sempre loro base creativa: "Siamo sculture viventi, e questo è il nostro modo di vivere per sempre".
Di Luigi Ippolito
Osi è un'opera d'arte o la s'indossa, diceva Oscar Wilde: ma Gilbert e George sono riusciti a fare l'una e l'altra cosa insieme. Perché da oltre 50 anni la coppia più longeva e provocatoria del firmamento artistico mette in scena una performance che ha al centro loro stessi, in una immutabile divisa fatta di completi di tweed, camicia e cravatta: «Noi siamo presenti in tutte le nostre opere, è il nostro viaggio attraverso la vita» proclamano. «Siamo sculture viventi: solo la pelle diventa più vecchia, non i vestiti!». Non li si vede mai l'uno senza l'altro: e anche incontrandoli e parlando con loro, non si capisce mai se si stiano raccontando per davvero o se stiano solo dando vita, ancora una volta, a una rappresentazione artistica. «La nostra arte è l'essere vivi noi stessi» sentenziano. Le loro opere sono visivamente caleidoscopiche, allusive e spesso dissacranti, dove lo slancio quasi teologico si mischia al sesso, alla nudità e agli escrementi.
Lavori che ora trovano una casa permanente nel Gilbert & George Centre, la fondazione che la coppia inaugura il primo aprile nell'East End, la zona di Londra che dalla fine degli anni Sessanta è sempre stata la loro casa e base creativa. Gilbert e George abitano in tre edifici georgiani su Fournier Street, dove hanno anche il loro studio: e a pochi passi, in una strada adiacente, si trova il nuovo Centro. (...)
Il Centro sorge in una vecchia birreria dell'Ottocento ristrutturata: «Per loro non era importante fare un edificio spettacolare, ma un posto giusto per esporre la loro arte, che è molto particolare» spiega Manuel Irsara, l'architetto che ne ha curato il progetto. (...)
Il risultato però è riuscitissimo, con un edificio che s'inserisce perfettamente in quella che è una zona protetta di Londra dal punto di vista architettonico, ma che dentro si apre a vasti spazi luminosi pensati su misura per accogliere i lavori su grande scala di Gilbert e George. L'East End «è una tale destinazione» dice George, «la gente ci viene da ogni parte del mondo: e ora chiunque venga qui potrà vedere le nostre opere». Che poi sono le più interessanti, perché loro due negli ultimi 40 anni hanno tenuto un certo numero di lavori e ora hanno una collezione propria di almeno 170 quadri, che sono magari quelli che i collezionisti trascuravano perché troppo difficili o provocatori.
I due artisti però insistono a dire che la loro produzione è in qualche modo popolare: «Quando siamo entrati in questo mondo» racconta George «l'arte era per conoscitori, non per il pubblico stupido. Ma noi non credevamo in questo: cerchiamo di fare un'arte che possa rivolgersi a chiunque. Dobbiamo perciò occuparci di vita, morte, speranza, paura, sesso, soldi, razza, religione. Non forma e colore: allora, quando abbiamo cominciato, gli artisti erano interessati alla forma, non al significato, il sesso era una brutta parola, l'amore era una brutta parola. Noi invece usiamo la forma per veicolare un significato».
«Siamo stati capaci di inventare una nuova forma di fare immagini che non esisteva prima» aggiunge Gilbert. «Quindi ci siamo mostrati nudi, o abbiamo usato parolacce: tutte cose che sono importanti per noi». E in questo impeto a portare l'arte a tutti, il duo è arrivato a coinvolgere la gente del quartiere: sono andati a prendere le persone al pub, o al caffè, o perfino gli spazzini per strada, perché non volevano che alcuno si sentisse escluso, e li hanno portati a vedere il nuovo Centro in fase di realizzazione. E tutti, dicono, sono rimasti affascinati. «Siamo riusciti a raggiungere un'audience più vasta» commenta soddisfatto George. «Perché il soggetto è differente». Continua Gilbert: «È il soggetto umano, non è arte formalistica o minimalista». «Portiamo nell'arte anche gli elementi meno piacevoli» conclude George «e ai giovani questo piace». (...)